Un'inquietante leggenda di Natale

fanfiction


By MIRKO


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CAPITOLO PRIMO

In piedi sul bordo del binario i due si stavano studiando, nonostante la diversità dei loro sguardi.
Ottavia cercava di capire cosa l’uomo di fronte a lei, avviluppato in un lungo pastrano nero, celasse dietro quello sguardo tetro e accigliato, mentre viceversa Cancer, già Cavaliere d’Oro al Grande Tempio di Atene, si sforzava di comprendere perché mai il Grande Sacerdote gli avesse affibbiato per quell’inconsueta missione una ragazzina talmente comune ed ordinaria, così apparentemente aliena da ciò che egli reputava corrispondere ad un guerriero da dubitare della scelta di Arles.
Anche Ottavia aveva però le sue perplessità: non capiva perché Silvia avesse voluto collaborare con il Grande Tempio, luogo di dubbia fama, né perché avesse scelto proprio lei come emissaria. Si ricordava bene le parole che la guerriera Sailor proveniente dal futuro le aveva detto davanti alle fiamme guizzanti del camino della loro abitazione in riva al mare, soltanto pochi giorni prima, mentre fuori il vento turbinava come impazzito, e gli infissi erano scossi come da un’anima in pena.
“Ottavia, credo che tu sappia meglio di me come non ami stringere alleanze con personaggi di dubbio ordine, ma stavolta le cose travalicano la mia facoltà di intervenire”.
“Spiegati meglio”, le chiese l’altra, accoccolandosi sulla poltrona e cingendosi le ginocchia con un freddo abbraccio. Il fuoco traeva riflessi azzurrini dai suoi folti capelli neri, facendoli assomigliare alle pieghe di un’antica veste di seta. “In Europa, per la precisione in Italia, ci sono state numerose sparizioni di persone, tutte circoscrivibili alla notte della vigilia di Natale. Il fenomeno si è ripetuto ogni anno, dal 1781 a questa parte; la polizia locale non sa cosa fare, e persino un Cavaliere d’Argento inviato laggiù lo scorso anno da Arles è scomparso nel nulla, come se non fosse mai esistito”. “È per questa ragione che il Grande Sacerdote ti ha contattata?”, le chiese Ottavia, non poco sorpresa nel sentirsi rispondere: “Sì, ma non solo. Arles vuole che cooperiamo: ha spedito laggiù uno dei suoi migliori guerrieri, Cancer della quarta casa. Ha fama di uomo spietato, e anche per questo motivo non voglio lasciare la missione interamente nelle mani di un individuo simile. Vorrei, se te la senti, che lo affiancassi tu, Ottavia”.
“Io?”.
“Sì, tu. Sei la più forte delle Guerriere Sailor del sistema solare esterno, l’unica di noi che in qualche modo possa stare alla pari con uno dei Dodici Cavalieri d’Oro. So di chiederti molto, ma…”.
Ottavia le sorrise gentilmente, e non per la prima volta Silvia si stupì della forza d’animo di quella ragazzina, nonostante le esperienze orribili che avevano travolto la sua vita. Le rispose piano, con semplicità: “Non devi aggiungere altro. Partirò domani stesso”.
La sua innata bontà e l’altruismo scevro da ogni ipocrisia che facevano parte del suo carattere fecero provare un pizzico di senso di colpa a Silvia, che sperò in cuor suo di non averle affidato un carico troppo grande per le sue esili spalle. L’annuncio dell’altoparlante strappò Ottavia dai suoi ricordi: il loro treno stava per partire, e Cancer scrutò con scarsa soddisfazione la neve che iniziava a cadere in piccoli fiocchi dal cielo color del piombo intorno alla città, per poi salire per primo in carrozza e farsi largo tra la calca di passeggeri che affollavano il treno per tornare a casa e festeggiare con i propri cari la vigilia dell’Avvento. Il Cavaliere spintonò con rara malagrazia un paio di malcapitati che gli impedivano il passo, e, seguito a ruota da una non poco sconcertata Ottavia, trovò posto in uno scompartimento vuoto, giusto un attimo prima che il treno iniziasse a muoversi sulle rotaie, dritto incontro alla tormenta di neve.
Ottavia si sedette di fronte a lui, osservando per un po’ di sottecchi il Cavaliere, che nel frattempo aveva incrociato le braccia e preso a fissare ostinatamente il paesaggio imbiancato che sfilava rapido davanti ai suoi occhi. Infine, per rompere il ghiaccio, gli chiese:
“Eri mai stato prima d’ora in questi luoghi?”.
Lui si voltò ad osservarla, un po’ preso in contropiede, prima di abbozzare un accettabile facsimile di sorriso e risponderle:
“Io sono nato in Italia, ragazza. Conosco bene questa terra, dalle Alpi ai mari del Sud. D’altra parte Aulus, mio allievo e Cavaliere d’Argento la conosceva bene quanto me, eppure ciò non gli ha impedito di essere inghiottito dal nulla che lo attendeva quaggiù. Se posso darti un consiglio, sii sempre molto accorta. La vita sa essere davvero spietata, e spesso l’odio e la forza sono le uniche armi a nostra disposizione per uscirne a testa alta”.
“Non sono d’accordo”, replicò lei, corrugando leggermente la fronte, “Ad esempio io sono qui solo grazie all’altruismo e all’amore delle persone che mi hanno circondata. Certo, il Male esiste, e forse qualche volta sembra avere la meglio, ma Bunny, una mia amica, mi ha insegnato che senza un animo buono, a poco vale tutta la forza del mondo. L’animo di una persona non si schiaccia mai, questo io credo”.
“Abbiamo avuto esperienze diverse”, sbottò l’uomo, con una noncurante alzata di spalle, “Pensala come vuoi, l’importante è che risolviamo in fretta questo…”.
Non terminò la frase: il treno, che aveva appena imboccato una galleria, iniziò a tremare sensibilmente, prima che lo stridore dei freni assordasse le loro orecchie e la carrozza venisse violentemente squassata da quello che pareva il padre di tutti i terremoti; i passeggeri iniziarono a gridare, mentre le luci nei vagoni andavano e venivano e il treno prendeva ad inclinarsi pericolosamente, colpendo la parete della galleria e facendo sprizzare dall’attrito una cascata di scintille. “Sta deragliando!”, gridò Cancer, scattando in piedi e sfondando con un pugno bene assestato il finestrino dello scompartimento, “Ora salgo sul tetto del vagone, vedo cosa posso fare”.
“Aspetta!”, lo chiamò indietro Ottavia, allarmata, “e i passeggeri? Rischiano grosso!”.
Cancer emise un sogghigno poco rassicurante, e prima di saltare oltre il vetro infranto e raggiungere il tetto con un abile volteggio, le mormorò:
“Spiacente, ragazza, non è un problema che mi riguardi”.
Ottavia sbuffò, frustrata dall’indisponibilità del suo forzato compagno, poi corse nel corridoio, soccorrendo una donna caduta e aiutando a calmare un gruppo di bambini spaventati, dicendo loro che sarebbe andato tutto bene, ma il treno continuava a inclinarsi e lei era certa che avesse del tutto perso il controllo. Si augurò solo che Cancer sapesse veramente quello che stava facendo.
Nel frattempo il Cavaliere, raggiunto il tetto del vagone, fece appena in tempo a rialzarsi e a notare un’indistinta sagoma bianca al di sopra della motrice, prima che questa si capovolgesse e puntasse diritta ad una velocità assurda contro la parete in cemento armato del tunnel; con un’imprecazione l’uomo si levò l’ampio pastrano, rivelando di indossare al di sotto di esso la propria armatura d’oro, scintillante come il sole di primavera che fora le nubi di un temporale. Con due agili balzi raggiunse la locomotrice e, assicuratosi con un’occhiata che il capotreno all’interno fosse solo privo di sensi, saltò giù dal treno proprio davanti alla sua rovinosa corsa, voltandosi per bloccarlo con ambedue le mani prima che si schiantasse contro la parete della galleria.
Fece appena in tempo: bruciò il potere delle stelle che era in lui, e che molti chiamavano “cosmo”, e diede energia alle proprie braccia perché sostenessero quell’urto rovinoso, immane, di centinaia di tonnellate di metallo. Strinse i denti per lo sforzo, mentre pian piano il treno rallentava e arrestava il suo slancio, e lui stesso veniva spinto all’indietro. D’un tratto però sentì che la pressione sulle sue braccia si faceva improvvisamente meno prepotente, e si rese conto che qualcuno lo stava aiutando, in un modo o nell’altro. Riuscì a capire chi fosse solo quando il convoglio dei vagoni si arrestò del tutto, e vide saltare fuori da un finestrino Ottavia, con in mano una sorta di lunga falce argentata, e con addosso un succinto costume alla marinara, con un corto gonnellino e stivali di un intenso color violetto.
“Tutto bene, Cancer?”, le chiese lei, con il diadema dorato che le ornava la fronte intento a rilucere debolmente, raggiungendolo con una breve corsa.
Lui annuì e le chiese: “Sei stata tu a darmi una mano a bloccarlo, non è vero?”, e, non appena ebbe ricevuto un cenno affermativo come risposta, proseguì: “Credo che abbiamo compagnia. Ho intravisto qualcuno o qualcosa al di sopra della motrice. Non mi stupirei se fosse stato questo qualcuno a causare l’incidente”.
“Vuoi dire che ha rischiato di uccidere centinaia di innocenti solo per eliminarci?”, domandò Sailor Saturn, sgranando gli occhi di fronte a quella prospettiva.
Prima che potesse rispondere l’aria fu saturata dalle urla laceranti delle sirene dei pompieri e della polizia, e Cancer le suggerì: “Ragazza, ti risponderò dopo, ora andiamocene di qui, rischiamo di dare troppo nell’occhio”.
Lei esitò un po’, volgendosi a guardare le torme di passeggeri che uscivano confusi e storditi dai vagoni miracolosamente intatti, quindi si strinse nelle magre spalle e annuì. In quel frangente doveva fidarsi del suo metro di giudizio, poteva benissimo darsi che Cancer fosse al corrente di qualcosa che lei ignorava.
Visto che lei annuiva, il Cavaliere le indicò con il mento l’uscita del tunnel, e insieme, di corsa, scomparvero nella tormenta.

CAPITOLO 2

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