Un'inquietante leggenda di Natale

fanfiction


By MIRKO


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CAPITOLO SECONDO

Camminarono a lungo nella tormenta, così intensa da far dubitare ad entrambi che si trattasse di un fenomeno naturale: il loro nemico, chiunque fosse, stava di sicuro tentando di sbarrare il passo in ogni modo, e l’incidente capitato al treno stava lì a dimostrarlo.
Sailor Saturn avanzava a fatica, con le gambe che affondavano nella neve ormai prossima alle ginocchia, riparandosi il viso con un braccio, mentre il vento gelido e tagliente le spingeva continuamente all’indietro i bei capelli neri. Dal canto suo Cancer pareva insensibile a quelle micidiali folate di vento, e si limitava a procedere in una direzione che solo lui conosceva, protetto dalla propria impenetrabile armatura d’oro.
Ad un tratto, senza preavviso, Ottavia si fermò, dichiarando:
“Non muoverò un passo di più, Cavaliere, finché non mi avrai detto la verità”.
L’altro si arrestò e si voltò a guardarla, aggrottando le sopracciglia in un moto interrogativo, e chiedendole:
“Cosa intendi dire, ragazza? Io non sto nascondendo un bel niente”.
Come tutta risposta la giovane gli puntò contro la propria falce argentata, sibilando:
“Non scordarti che sono la Guerriera della Distruzione, e che l’eliminazione di un singolo avversario non rappresenta un problema…anche se vorrei che mi risparmiassi una soluzione del genere”.
Cancer la fissò a lungo negli occhi blu come il mare, per vedere se stesse facendo sul serio, poi, chiudendo gli occhi e sorridendo, le puntò contro la fronte l’indice ossuto, assumendo la posizione d’attacco necessaria per lanciare i suoi “strali di spirito”, la temuta tecnica per strappare l’anima dell’avversario e gettarla nell’orrenda Bocca di Ade, quindi l’ammonì, con studiata lentezza:
“Ottavia…Sailor Saturn…vuoi davvero sfidare un Cavaliere d’Oro? Sai a cosa vai incontro?”.
Per tutta risposta Ottavia impugnò saldamente con ambedue le mani la propria lancia e la ruotò, tendendola orizzontalmente di fronte a sé; così posizionata avrebbe creato una barriera impenetrabile per i colpi che Cancer le avrebbe sferrato, o almeno così si augurava che fosse.
Il Cavaliere d’Oro rise sommessamente, e fece un’azione che colse la Guerriera Sailor totalmente alla sprovvista. Si tolse l’ampio mantello rosso di cui era bardato, e con un gesto di noncurante eleganza lo pose sulle spalle di Ottavia, che rimase a bocca aperta, non capendo cosa stava succedendo, né cosa l’uomo avesse in mente.
“Avvolgiti bene”, le disse l’altro, voltandole le spalle e riprendendo a camminare nella neve che cadeva in grandi fiocchi, “Rischi di prendere veramente freddo, vestita così. Non voglio che mi muoia un compagno di lotta prima ancora di essere in vista del nemico”.
Per un po’ Sailor Saturn non si mosse, non riuscendo a capacitarsi di cosa si nascondesse davvero nell’animo di quell’uomo, infine riprese il suo cammino, seguendolo con fare guardingo e circospetto.
Dopo un po’ giunsero presso una casetta dall’aspetto molto rustico e trasandato, seminascosta dalle fronde innevate di alcuni alberi, lontana dalla strada e dalla civiltà, e lì il Cavaliere entrò, aprendone la porta cigolante con una lieve pressione della mano e abbassandosi per varcarne l’uscio. Ottavia lo imitò, accorgendosi di come l’interno fosse spoglio e disadorno, eccezion fatta per un camino in pietra di grosse dimensioni, e per un paio di bauli appoggiati alle pareti da cui provenivano diversi spifferi.
Accorgendosi di come la ragazza fosse disorientata e infreddolita, Cancer prese da uno dei bauli una grossa pelle d’orso arrotolata, la stese davanti al camino e iniziò ad armeggiare con alcuni ceppi di legno per accendere un fuoco, od un suo accettabile facsimile.
“Vieni, siediti”, la invitò lui, stupendosi per primo della gentilezza che quella ragazzina conosciuta solo poche ore prima ispirava in un animo rude come il suo, “Ti offrirei qualcosa di caldo da bere, se potessi, ma anche i poteri di un Cavaliere d’Oro, come puoi constatare, hanno i loro limiti”.
Ottavia obbedì, osservando per un po’ l’uomo che attizzava le prime fiamme, fiamme che si riflettevano sulla sua armatura color del sole in un gioco di mille barbagli. Quando anche Cancer prese a guardare i ciocchi avvolti dal fuoco che crepitavano, gli disse:
“Sembri essere a tuo agio qui dentro”.
“Era casa mia”, le rivelò lui, con voce trasognata, come preso da un doloroso turbine di ricordi, “o meglio, io, mia sorella, e i miei genitori ci trasferimmo quaggiù per un breve periodo della mia infanzia…le cose andavano bene, finché non venne lei”.
Ottavia gli rivolse uno sguardo interrogativo, al che l’altro, rialzando il capo e fissandola negli occhi mormorò: “La gente da queste parti la chiama la Dama dalla Lunga Mano. La leggenda vuole che si tratti di uno spirito malvagio che dimora nelle acque sotterranee, e che riemerga dai pozzi nella notte della vigilia di Natale, per prendere con sé il povero sfortunato che le capiti a tiro”.
Ottavia, sebbene avesse affrontato in passato la forza distruttiva di ben altre entità maligne, non poté fare a meno di rabbrividire, nonostante il caldo mantello di Cancer le coprisse ancora le spalle ed il fuoco avesse preso a divampare con veemenza.
“Una notte, era il 24 dicembre, toccò a mia sorella minore. Era uscita per inseguire Snucky, il nostro gatto…non è mai più rientrata, né so dove quel demone l’abbia portata. Anche per questo motivo decisi di diventare un Cavaliere di Grecia, per essere abbastanza forte e potente da riuscire a vendicarmi. Quella creatura però ha eluso a lungo i miei attacchi, e infine si è presa anche Aulus, il mio allievo più caro. Capisci ora, Sailor Saturn, come abbia dei conti in sospeso con lei”. Ottavia lo scrutò ora con occhi diversi, biasimandosi per non essere in grado di trovare le parole adatte da dire in quella circostanza; nel camino un ceppo si spezzò e fece sprizzare una pioggia di rosse faville, che volteggiarono verso l’alto. Improvvisamente la ragazza sentì le proprie palpebre farsi tremendamente pesanti, e, nonostante lottasse per tenerle aperte, comprese come un sonno non naturale stesse prendendo il sopravvento sulla sua volontà.
Si voltò verso Cancer, allarmata, giusto in tempo per vederlo rialzarsi in piedi, con il fuoco che riverberava sinistro sul suo volto e sulla lucida superficie dell’armatura. Poteva vedere ad occhio nudo il cosmo dorato che riluceva tutt’intorno a lui.
“Cancer, tu…”, fece in tempo a mormorare la Guerriera della Distruzione, prima che la falce le scivolasse tra le dita e cadesse al suolo, producendo un clangore metallico. Infine anch’ella cadde riversa sul tappeto, vittima del sonno indottole dal Cavaliere d’Oro, che la coprì premurosamente con il proprio mantello, ormai cadutole dalle spalle, sussurrandole piano all’orecchio:
“Perdonami, ma questa è una faccenda personale, che riguarda esclusivamente me e la Dama dalla Lunga Mano. Non voglio che altri ne siano coinvolti, non più”.
Detto questo uscì a grandi passi dalla casa, reggendo l’elmo d’oro sottobraccio e lasciando che la propria rabbia e spietatezza interiore montassero liberamente in lui.
Avanzò nella neve sempre più alta, inoltrandosi nel boschetto vicino e fermandosi solo alcuni minuti dopo, davanti ad un vecchio pozzo dai mattoni sbrecciati, e da cui emanava un fioco bagliore biancastro. Soffocò la propria pelle d’oca incipiente, e la sgradevole sensazione di essere tornato un ragazzino impotente, quando finalmente vide emergere lo spettro che tutti temevano, persino il Sommo Arles.
“Bentornato a casa, Cancer”, gli sibilò la figura femminile ammantata di bianco, esibendo un sorriso obliquo, “Ti aspettavo da molti anni”.
“Sono qui per finirti”, mormorò l’uomo, facendo bruciare il proprio cosmo e preparandosi all’attacco.
“Sai”, lo dileggiò lo spettro, con voce melliflua e ingannevole, “In fondo io e te ci assomigliamo, siamo entrambe due anime in pena, in cerca perenne di vittime. Conosci questa sensazione, vero?”.
Poco distante da lì, all’interno della casa, Sailor Saturn riprese lentamente i sensi, scuotendo la testa per scacciare l’intontimento indottole dal Cavaliere della Quarta Casa, e producendo un argentino tintinnio con i propri orecchini. “Cancer!”, gridò subito, resasi conto di come forse il suo compagno si stesse cacciando da solo in una trappola, “Accidenti, ci mancava solo questa!”.
Senza por tempo in mezzo afferrò la propria lancia falciforme e spalancò la porta con una gomitata, pregando silenziosamente perché non fosse troppo tardi.

CAPITOLO 3

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