Un'inquietante leggenda di Natale

fanfiction


By MIRKO


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CAPITOLO TERZO

Ottavia corse a perdifiato fra le sagome oscure del bosco, sfidando i refoli di neve gelida che le sferzavano impietosamente il volto, impedendole di vedere chiaramente davanti a sé; un paio di volte incespicò nella neve altissima che ormai le lambiva le cosce e rischiò di cadere, ma ogni volta, stringendo i denti, riuscì a trovare in sé un’insospettata riserva di energia, forse dettata dalla disperazione.
Se c’era una cosa in cui era brava, credeva, era nel valutare l’io più vero delle persone che si trovava di fronte: proprio per questo non pensava che Cancer, nonostante avesse anche vittime innocenti sulla coscienza, fosse un autentico malvagio. Certo, la vita l’aveva messo alla prova e indurito, e lui, invece di rimboccarsi le maniche, si era lasciato cadere in preda ad un cupo e rabbioso rancore, però…insomma, lei si rifiutava di credere che il Cavaliere d’Oro non fosse recuperabile, che alla fine non potesse ravvedersi e capire che nel mondo c’era ancora un po’ d’amore per cui valeva la pena battersi.
“Non fare niente di avventato, Cancer”, mormorò a denti stretti, issandosi lungo l’asta della sua lancia per rialzarsi dall’ennesima caduta, “tra poco sarò lì ad aiutarti”.
I rami neri e scheletrici degli alberi parevano protendersi da ogni direzione verso di lei, lacerandole i lembi del costume ed insinuandosi fra i capelli e la pelle del viso, come in un disperato tentativo di rallentarla e bloccarla. Ottavia reagì con un grido stizzito, facendo roteare la lancia falciforme tutt’intorno a sé e tranciando quelle legnosa braccia animate con secchi crepitii che ricordavano uno stridore di denti.
All’improvviso udì distintamente, al di sopra dell’ululato onnipresente del vento, il fragore di uno scontro, e vide lontano, davanti a lei, il riverbero di una luce dorata; seguirono grida di una voce rabbiosa, che riconobbe come quella del Cavaliere d’Oro, e una risata d’oltretomba che le fece accapponare la pelle.
Sailor Saturn percorse correndo quasi a testa bassa la distanza che la separava dalla fonte di quei suoni, e quando sbucò nella radura antistante, la sua bocca si aprì in una “O” di muto stupore.
Per terra, semisommerso dalla neve, giaceva Cancer con l’Armatura d’Oro incrinata in più punti, ma ancora cosciente e con il volto deformato da un odio palpabile.
Vicino a lui, ritta in piedi davanti ad un vecchio pozzo, la Guerriera Sailor vide una figura di donna curva e pallidissima, i cui lunghi capelli bianchi cadevano a terra come serpi addormentate, avviluppata in un mantello dal nitore spettrale.
La creatura sollevò il capo nella sua direzione, esibendo un sorriso sarcastico e salutandola: “Salute a te, fanciulla, sei arrivata appena in tempo per vedermi dare il colpo di grazia a questo temerario che pensava di sfidarmi. Ma non temere, non appena avrò finito con lui, tu mi farai da dessert. Perché dividere due amici, è una cosa brutta, non ti pare?”.
L’essere fece seguire alle parole una risata sgradevole, prolungata, ma Ottavia non si fece impressionare, interponendosi con un balzo tra il compagno a terra e lo spettro, e posizionando orizzontalmente la sua lancia in posizione di difesa.
“Non te lo lascerò fare!”, la ammonì con fare deciso, “Sei tu, non è vero, la Dama dalla Lunga Mano, quella che per secoli ha infestato queste terre? Cosa ne hai fatto di tutte le persone che hai rapito? E della sorella e dell’allievo di Cancer? Rispondimi!”.
“Semplice, ho assorbito tutta la loro energia, fino ad annientarle: in questo modo ho potuto prolungare la mia esistenza fino a questo momento…Mi pare una cosa ovvia. Ti facevo più perspicace, ragazzina”.
La Dama mosse un passo in avanti verso di lei, ed Ottavia ruotò la propria lancia fino a puntargliela ad un centimetro dal volto.
“Non un passo di più”, le intimò, ma lo spettro rise gioioso, gracchiando:
“Non userai quell’arma contro di me, lo so bene: hai paura di farti prendere dalla foga e dall’agitazione, e scatenare il tuo potere della Distruzione, che annienterebbe il mondo intero…ah, sì, vedo bene che è così, lo leggo nei tuoi giovani occhi”.
Ottavia deglutì, nervosa come non mai, mentre rivoletti di sudore freddo le colavano dalla fronte, nonostante il gelo intensissimo: la creatura aveva ragione, ma d’altra parte, se non avesse tentato…
I suoi tentennamenti furono troncati quando due mani robuste e decise afferrarono con forza la sua lancia falciforme, strappandola dalla sua stretta e scagliandola con un urlo rabbioso verso l’apparizione, che gridò impaurita. “Cancer!”, fece appena in tempo ad esclamare la Guerriera Sailor, voltatasi di scatto verso il Cavaliere risollevatosi, prima che un’accecante esplosione di luce bianca li investisse entrambi fino ad annientare le loro coscienze e farli sprofondare in un oblio senza sogni.
Quando Ottavia si riebbe, attorno a lei tutto era calmo e immerso in un ovattato silenzio. In cielo, oramai sgombro di nubi, le stelle brillavano fredde e distanti, gettando una fioca luce sulle lande innevate che la circondavano. Lontani, nella vallata sottostante, rilucevano debolmente i mille lumi di un villaggio che festeggiava l’arrivo del Natale. La ragazza si accorse di essere avviluppata nel pastrano nero che Cancer indossava durante il loro primo incontro alla stazione, adagiata contro il tronco scuro di una quercia carica di neve.
“Sono felice che tu stia bene”, le disse a bassa voce il Cavaliere d’Oro, vestito ora con un comune maglione bianco a collo alto e jeans stinti, ritto in piedi di fronte a lei”.
“La…la Dama…”, mormorò Ottavia, ancora un po’ frastornata, ma l’uomo la rassicurò dicendole: “Non temere, non mieterà più vittime…grazie alla tua lancia”. Nel dire questo il Cavaliere appoggiò l’arma di lei con delicatezza contro il tronco dell’albero.
“Grazie ancora”, soggiunse dopo una breve pausa pensosa, esibendole un insolito, debole, sorriso, “Mi hai dimostrato che la forza può non essere disgiunta da un animo nobile…tuttavia per me è troppo tardi. Ho votato il mio cuore ad un'altra logica, più spietata, e ad essa ormai mi sento legato con catene indissolubili. Addio, piccola Ottavia, ti auguro ogni bene…spero che almeno io e te non ci incontreremo mai come avversari”.
Detto questo si voltò, ficcandosi le mani in tasca e incamminandosi lentamente verso il paesello sottostante. I suoi passi sprofondavano nella neve soffice e immacolata, mentre un nuovo vento gelido e tagliente iniziò a spirare dalle vette dei monti, smuovendo i capelli di seta di Ottavia, che, con un inspiegabile nodo allo stomaco gli gridò dietro: “Cancer, aspetta!”.
Lui si fermò, voltandosi di tre quarti e fissandola con una bontà mesta e malinconica, lontanissima dal suo consueto modo di fare.
“Spiegami una cosa, ti prego. Perché con me non ti sei comportato come il cavaliere spietato che tutti dipingono…voglio saperlo, per favore!”.
L’uomo sospirò e tornò sui suoi passi, abbassandosi verso di lei e sussurrandole poche parole all’orecchio, dopodiché si rialzò e si allontanò di nuovo, venendo inghiottito dal bianchissimo paesaggio.
Ottavia si lasciò sfuggire due lacrime cristalline, che colarono lungo le sue gote, gelandosi per il freddo intenso e rassomigliando a due piccoli diamanti.
“Anche mia sorella”, le aveva detto Cancer, “si chiamava Ottavia”.
FINE

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